Artigianato oscillante fra nicchia artistica e lavorazioni decentrate

EconERre 30/9/97 pag.12

Da un lato tanta creativita' e seri problemi distributivi, dall'altro un rapporto solido e certamente duraturo con il sistema industriale.


Ha due volti l'artigianato attivo nel settore ceramico. Diversi e, in un certo senso, complementari. Da una parte ci sono i laboratori artistici, capaci di sfornare prodotti unici. Un artigianato alto, insomma, ma chiuso in una nicchia da cui non ha ancora trovato il modo di uscire. Dall'altra esiste il terzo fuoco che decora in serie le piastrelle per conto delle grandi aziende ceramiche. Poca creativita', ma ottime prospettive di mercato. Due volti insomma che riuniscono in se potenzialita' e limiti dell'artigianato. Complessivamente il settore, secondo l'ultima rilevazione dell'Eber, conta in Emilia-Romagna 153 aziende che, avendo in media 7,1 dipendenti a testa, danno lavoro a 1.087 persone. Molto piu' alta rispetto agli altri settori artigianali la quota di addetti assunti come apprendisti o con contratto di formazione lavoro, rispettivamente 300 e 160. In pratica quasi il 50%. Nel calzaturiero, ad esempio, questa percentuale supera a fatica il 15% (circa 600 su 4.000 dipendenti). Segno che il comparto ceramico, caratterizzato da forti variazioni ed incertezze di mercato, ha necessita' di una maggiore flessibilita' sotto il profilo occupazionale. Dal punto di vista territoriale la concentrazione maggiore di aziende si trova sicuramente a Modena, dove hanno sede ben 81 imprese. Segue Reggio Emilia con 26 laboratori. In entrambi i casi si tratta quasi esclusivamente di terzo fuoco. Un centinaio di aziende che da sole occupano oltre 900 dipendenti: 720 a Modena e 200 a Reggio Emilia. Gli altri sono per lo piu' laboratori artistici. La concentrazione piu' forte si trova a Faenza, in provincia di Ravenna: 24 imprese. Seguono Rimini con 7 nella zona di Villa Verucchio, Piacenza, Parma e Ferrara con 2 e, con una a testa, Forli', Cesena e Bologna. Se il terzo fuoco e' nato attorno alla meta' degli anni '70, la ceramica artistica esiste da tempo immemorabile. "Da quasi trent'anni il settore - racconta Agostino Benassi della Confartigianato regionale - e' caratterizzato da una contrazione costante di mercato". Flessione ancora piu' forte in questi mesi. "Dal Natale scorso - ammette Giampiero Bondi responsabile di settore per la Cna - e' tutto fermo. Trattandosi di beni voluttuari la gente non compra e i negozi, di conseguenza, avendo i magazzini pieni non fanno ordini". Una stasi destinata a finire presto: "Qualcosa si sta rimettendo in moto. L'inverno '97 dovrebbe andare abbastanza bene". Rimangono per il settore i problemi di sempre. "Quello artistico - spiega Benassi - e' un artigianato vivo, caratterizzato da una creativita' che non teme confronti. I problemi nascono pero' sul fronte distributivo. Si tratta infatti di piccole aziende. Molte vendono direttamente in laboratorio, le piu' evolute si appoggiano a qualche rappresentante o ad alcuni negozi d'arte, ma e' ancora poco. Servirebbe un imprenditore capace di investire miliardi su queste produzioni per aprire le porte dell'export e comunque di un circuito commerciale molto piu' ampio". Qualcosa in questa direzione e' stato tentato, soprattutto nell'area faentina. "Anche grazie ai finanziamenti della legge regionale numero 20 - racconta Massimo Branzanti della Cna locale - sono stati costituiti diversi consorzi per favorire ad esempio la partecipazione a fiere". E' qualcosa, ma non basta. Anche perche' qualcuna di queste esperienze non ha avuto propriamente quel che si dice un esito positivo. "Ai tempi di Italia '90 - racconta Benassi - della Confartigianato - Faenza aveva ,acquistato con un pool di imprese artigiane il diritto di utilizzare il marchio". Nacquero cosi' portacenere, vasi, ciotole con su stampigliato l'omino che al posto della testa aveva un pallone. Operazione disgraziata: "Sono rimasti quasi tutti invenduti, le imprese non sono riuscite neanche a coprire i costi per l'acquisto del marchio". Il tentativo di riunire artigiani in una cooperativa? Fatto anche questo e anche questo fallito. Tanto che dalle ceneri della Cooperativa Ceramisti di Faenza sono rinati cinque laboratori artigiani. Un perfetto ritorno al passato, racconta Branzanti. "Anche la legge 188 che a livello nazionale istituiva tra l'altro per 18 comuni italiani il marchio di qualita' Ceramica Artistica fatica a decollare - spiega - ogni zona dovrebbe spedire infatti i propri disciplinari di produzione, ma ci sono ritardi causati soprattutto da una mancanza di sensibilita' su questo fronte. Non si riesce a percepire infatti un ritorno immediato quindi, con tutto quel che c'e' da fare, nessuno fa niente per spingere avanti le pratiche". A Reggio Emilia, per non lasciare campo libero solo al terzo fuoco, si sta tentando qualcosa dalle parti di Casina, in piena zona matildica. "Qui negli anno '30 - racconta Bondi era nato il marchio Ars Canusina, che riproponeva figure e simboli tipici delle decorazioni che ornano chiese e palazzi dell'epoca di Matilde di Canossa. Oggi con la Provincia e il Comune abbiamo varato un comitato per farlo risorgere, convincendo le aziende della collina reggiana ad utilizzare quelle figure e quei simboli". Un modo per caratterizzare una produzione, per costruirsi un'immagine. Una buona idea? Puo' darsi, per ora comunque i risultati latitano. Il settore, dopo 30 anni di flessione costante, soprattutto sul fronte occupazionale, e un anno assai duro sembra avviato comunque ad una qualche ripresa. Costretto sempre nella sua nicchia, l'unica possibilita' sembra quella di imboccare la strada della super specializzazione. Questa paga, a quanto pare: "Penso ad un artigiano di Reggio - racconta ad esempio Bondi - che ha iniziato a produrre stufe in ceramica, decorate, fatte a mano pezzo per pezzo, alla tirolese. Oggi non riesce a venderne neanche una in Italia". Le sue stufe tirolesi made in Reggio sono tutte acquistate, prima ancora di essere ultimate, da agenti stranieri. Ben diversa la situazione del terzo fuoco, concentrato quasi esclusivamente, come gia' accennato, tra Modena e Reggio Emilia. Il settore - racconta Agostino Benassi - nasce attorno alla seconda meta' degli anni '70. Le imprese ceramiche iniziarono a scoprire la necessita' di abbellire i propri prodotti. Farlo internamente pero' costava troppo, cosi' decisero di decentrare questa fase della lavorazione. La ceramica e' un settore caratterizzato da alta tecnologia produttiva. Per produrre un certo quantitativo di piastrelle vent'anni fa servivano 20 persone, oggi ne basta una". Un settore caratterizzato da questa dinamica non poteva ovviamente sobbarcarsi i costi della decorazione, una lavorazione ad alta incidenza del fattore lavoro. Cosi' attorno alle ceramiche iniziarono a nascere i primi laboratori artigiani, ma non solo. "Il terzo fuoco - spiega Benassi - coinvolge infatti circa 2.000 persone: la meta' lavora nell'artigianato, l'altra meta' in Srl". Il settore segue, ovviamente, le dinamiche della ceramica. Dopo quattro anni di boom, dunque, attualmente il terzo fuoco vive una situazione stagnante. Le prospettive restano comunque molto buone: "Non e' neanche ipotizzabile che le aziende riportino all'interno queste lavorazioni, anzi - racconta Benassi - ritengo che il decentramento diventera' ancora piu' forte". Si tratta di una dinamica legata al mercato: "Le nostre aziende ceramiche racconta Bondi - dovranno posizionarsi sempre piu' su una fascia medio-alta, per evitare la concorrenza dei paesi a piu' basso costo del lavoro. Lo spazio per la decorazione, per la personalizzazione del prodotto, tendera' dunque ad ampliarsi progressivamente". Una scelta necessaria: "Per conquistare nuovi mercati - spiega Benassi - convincendo ad esempio gli americani a mettere piastrelle al posto della moquette o del linoleum bisogna offrire prodotti sempre piu' allettanti e caratterizzati". Lo stesso settore del terzo fuoco, risentendo positivamente di questa dinamica, al proprio interno si sta modificando. "Gia' oggi - prosegue Agostino Benassi - ricevuta la commessa dall'azienda ceramica molti laboratori affidano una parte della lavorazione, ad esempio la realizzazione di un particolare su alcune piastrelle, ad un terzo soggetto, un artigiano che lavora ad esempio in cantina con la moglie e uno o due dipendenti al massimo". Siamo dunque al decentramento del decentramento. Segno che le prospettive per questo segmento dell'artigianato ceramico appaiono buone. Si tratta di prodotti ben piu' standardizzati rispetto ai pezzi unici realizzati dai colleghi dell'artistico. Un artigianato meno pregiato, ma piu' fortunato. "Lavorando per grandi aziende - conclude Benassi - riescono a far arrivare i propri prodotti ai quattro angoli del mondo". E' artigianato, dunque, senza i limiti dell'artigianato. Senza, a dire il vero, neanche il controllo del proprio futuro. Tutto dipende infatti dalle scelte e dalle alterne fortune dei propri committenti. Una situazione felice, solo fino a quando il treno a cui e' agganciato il terzo fuoco, il distretto sassolese, continuera' a correre come negli ultimi decenni.



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